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La presenza dello Stato nelle maggiori aziende europee attive nel settore delle Tlc ha avuto un andamento estremamente diversificato negli ultimi anni. In generale, i vecchi incumbent europei (Telecom, France Telecom, Deutsche Telekom e Telefonica) hanno tutti subito un processo di privatizzazione, anche se con tempi e modalità differenti nei singoli Paesi. Anche oggi, nel momento in cui i principali operatori sono alle prese con l’innovazione tecnologica che continua a creare nuove soluzioni e servizi, i diversi Stati stanno reagendo in modo diverso a queste nuove sollecitazioni. In alcuni casi la scelta è stata quella di riaffermare un controllo pubblico sui segmenti tecnologicamente più sensibili del business dei vecchi incumbent. In altri casi si è scelta la strada di una presenza pubblica contenuta e in altri, infine, si sta assistendo ad un processo di riduzione della presenza pubblica.

In Germania lo Stato riduce la sua quota in Deutsche Telekom  

Il caso della Germania rientra, appunto, in questa ultima fattispecie. È infatti di poche settimane fa la notizia che lo Stato tedesco ha venduto un consistente numero di azioni di Deutsche Telekom per un importo pari a circa 2,5 miliardi di euro. La cessione è avvenuta attraverso la banca pubblica d’investimento KfW che ha messo sul mercato e venduto 110 milioni di azioni del gruppo tedesco. L’operazione riduce così la partecipazione pubblica della Germania dal 30,46% al 27,8%: una quota divisa tra Stato e KfW, che rimangono i principali azionisti dell’ex monopolio pubblico, privatizzato nel 1995. La cessione, peraltro, non ha chiuso le porte ad una ulteriore riduzione della quota in mani pubbliche. KfW ha annunciato infatti che “approfitterà delle attuali buone condizioni di mercato per compiere ulteriori passi nella privatizzazione del gruppo”.

In Spagna lo Stato rientra in Telefonica

Al contrario, la manovra del Governo tedesco è in controtendenza con quello che sta succedendo in Spagna (e anche in Italia), dove lo Stato sta invece gradualmente riprendendo possesso delle ex società di telecomunicazioni pubbliche. Il governo spagnolo, infatti, è ritornato ad essere recentemente un importante azionista dell’ex incumbent Telefónica aumentando la sua partecipazione al 10%. L’acquisizione è stata effettuata tramite un veicolo (Sepi, Sociedad Pública de Participaciones Industriales) che ha fatto un acquisto di ben 2,85 miliardi di euro per sugellare il rientro dello Stato nell’azionariato della societa’ spagnola privatizzata nel 1997 di cui si riconosce ora “l’importanza e il valore strategico per il Paese”. La decisione del Governo spagnolo arriva dopo l’ingresso nel capitale dell’operatore di Saudi Telecom Company (Stc), l’operatore statale saudita, che lo scorso settembre ha annunciato l’acquisto del 4,9% del capitale con un’opzione per un ulteriore 5% attraverso strumenti finanziari convertibili. La mossa aveva scatenato forti tensioni a Madrid, cogliendo di sorpresa sia il consiglio di amministrazione di Telefonica sia il Governo. Nel capitale di telefonica figurano altri importanti azionisti spagnoli come Bbva e La Caixa. È da sottolineare il fatto che da quando il Governo spagnolo aveva completato la privatizzazione delle grandi aziende pubbliche come Endesa, Iberia o la stessa Telefonica, principalmente negli anni ’80 e ’90, nessun governo aveva realizzato un movimento di questa portata, sia dal punto di vista finanziario che strategico.

In Francia resta ferma la presa pubblica su Orange

Più stabile, invece, è la situazione francese dove Orange ha una quota del 13,39% controllato dallo stato mentre un restante 6,14% è in mano ai dipendenti. Dall’epoca della privatizzazione dell’ex France Telecom la compagine azionaria del gruppo è rimasta abbastanza stabile e nulla ha mai intaccato seriamente la presa pubblica sul gruppo di telefonia che controlla le infrastrutture strategiche delle tlc transalpine. Attualmente Orange è più interessata a sviluppare la sua presenza all’estero ed è attiva in alcune operazioni di aggregazione, ad iniziare da quella che la vede coinvolta con MasMovil in Spagna. Qui Orange ha dato vita ad una joint venture paritetica che mira a combinare le operazioni delle due telco in Spagna. Dalla fusione tra i due gruppi è destinato a nascere un colosso con oltre 37 milioni di linee a banda larga e mobili, in grado di competere proprio con Telefonica.

In Italia lo Stato rientra nel capitale della società che controlla la rete

In Italia, la situazione del gruppo Telecom si è evoluta rapidamente negli ultimi anni. Dopo la privatizzazione e i successivi passaggi di mano nel controllo della società (prima Pirelli, poi Vivendi) lo Stato ha deciso di rientrare nell’azionariato del gruppo al fine di tutelare gli interessi nazionali che riguardano la rete tlc in mano al gruppo. Attualmente, in un percorso che si sta finalizzando in queste settimane, si è costituito un nocciolo duro di azionisti pubblici a cui fa capo una quota rilevante della nuova societa’ (Netco) nel cui perimetro ricade la rete tlc del gruppo italiano. In questo nocciolo duro il Ministero dell’Economia avrà una quota del 20% mentre un ulteriore 10% sarà rilevato dal fondo F2i che investirà circa 1 miliardo per rilevare sua partecipazione. F2i va così ad affiancarsi al Mef per controbilanciare la quota controllata dagli azionisti stranieri a cui è stato ceduto il 70% della nuova società: il fondo Usa KKR e l fondo sovrano Abu Dhabi Investment Authority. A motivare la scelta del Governo italiano è stato proprio il ministero dell’Economia, Giancarlo Giorgetti secondo cui la scelta si spiega con l’interesse dell’esecutivo ad “avere il controllo su alcune scelte strategiche relative a un’infrastruttura di estrema importanza per il progresso del Paese e la sua digitalizzazione”.

Lo Stato guarda alle infrastrutture strategiche, ma gli investimenti?

Dalla situazione maturata nei singoli Paesi europei emerge che per i Governi nazionali resta prioritario il mantenimento di un controllo pubblico sulle grandi infrastrutture tecnologiche nazionali, che nella maggior parte dei casi, sono in pancia ai vecchi incumbent nazionali. Troppo elevato è l’interesse strategico nazionale e troppo alti sono i rischi che queste infrastrutture cadano nelle mani di investitori esteri, in alcuni casi neanche politicamente vicini agli interessi europei ed occidentali. È sulla base di questa valutazione che tutti i grandi Paesi non hanno rinunciato a mantenere un controllo pubblico nei grandi gruppi delle tlc nazionali o che hanno maturato l’idea di rientrare (come Spagna e Italia) dopo esserne usciti molti anni fa. Finora, tuttavia, questo ritorno di interesse del ‘pubblico’ non si è saldato con l’altra grande questione che sta interessando il comparto delle tlc a livello europeo e globale: gli investimenti. Per rispondere alle sollecitazioni tecnologiche che stanno arrivando negli ultimi anni, tutti i gruppi delle tlc necessitano di enormi investimenti, grazie ai quali assecondare i continui aggiornamenti necessari sul piano della connettività e delle più recenti applicazioni tecnologiche (come nel caso dell’AI).

Proprio dal ‘pubblico’ potrebbero arrivare le risorse necessarie per sostenete gli sforzi dei grandi gruppi ma finora questo approccio non ha trovato riscontro in Europa. Eppure la stessa Ue ha sottolineato l’importanza di “spingere gli investimenti” e far emergere “giganti paneuropei più forti che raccoglieranno i benefici di maggiori economie di scala”: una sfida da affrontare per colmare il gap da Stati Uniti, Cina, Giappone e Corea del Sud. Nel Libro Bianco recentemente approvato da Bruxelles si è messo nero su bianco che “la frammentazione del mercato Ue lungo i confini nazionali incide sulla capacità degli operatori di raggiungere la dimensione necessaria per investire nelle reti del futuro” ma è mancato il corollario a questa affermazione: ovvero che proprio attraverso il sostegno pubblico potrebbe passare la capacità dell’Europa di rispondere alla sfida lanciata dai colossi americani e cinesi che già hanno ampiamente colonizzato il settore. Se è vero, quindi, che il White Paper della Commissione europea sembra aprire uno spiraglio verso un atteggiamento più morbido alle aggregazioni nel mercato delle Tlc in Europa, non sembra arrivato ancora il momento affinché Bruxelles adotti un atteggiamento più morbido verso il sostegno pubblico agli investimenti di quei grandi gruppi che nei prossimi anni giocheranno una partita decisiva per il primato tecnologico del Vecchio continente.

Riflessioni finali

Le tlc, in particolare nella loro componente infrastrutturale, rappresentano un settore strategico e nevralgico per i Paesi europei e non è una casualità il fatto che molti Governi abbiano deciso, come in Italia, di rientrare in un settore da cui erano usciti ai tempi delle privatizzazioni degli anni Novanta. La disponibilità di una infrastruttura di rete affidabile e sicura rientra ormai all’interno del perimetro delle attività considerate essenziali alla vita civile, alla stregua dell’energia e dei trasporti. Da questo punto di vista la tendenza che sembra emergere negli ultimi anni, ovvero di un ritorno del controllo pubblico e di una legislazione che tutela l’interesse strategico nazionale (Golden Power), non sembra destinata a mutare. Anzi, più crescerà la consapevolezza dell’importanza delle infrastrutture di rete, maggiore sarà l’interesse dello Stato nel controllarle o ricondurle sotto la sua diretta sfera di influenza. Una visione di questo genere è in contrasto, tuttavia, con l’interesse europeo che mira a favorire la creazione di un’unica grande architettura tecnologica transazionale. L’Europa, tuttavia, potrebbe agire in questa direzione indirizzando l’azione dei Governi mettendo in campo le risorse che sono indispensabili per il miglioramento e l’implementazione delle infrastrutture. Lo strumento potrebbe essere simile a quello già messo in campo per favorire la ripresa dell’economia dopo la pandemia: gli eurobond. Ma occorre uno ‘scatto’ in avanti della politica europea che al momento non sembra essere a portata di mano.