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Nonostante le turbolenze globali e le sfide poste dalle sanzioni statunitensi, i grandi vendor cinesi hanno rafforzato ulteriormente la loro posizione di leader nel settore delle telecomunicazioni, ampliando il loro market-share al 41% nel 2023, rispetto al 39% del 2022. Questa crescita si è verificata in un contesto in cui i ricavi mondiali delle apparecchiature di telecomunicazione nei sei settori tradizionali – che includono Accesso a banda larga, Microonde e trasporto ottico, Mobile Core Network (MCN), Radio Access Network (RAN) e SP Router & Switch – hanno registrato un calo del 5% su base annua. Guardando ai singoli operatori la performance di Huawei si distingue nettamente rispetto ai suoi concorrenti diretti: Nokia ha mantenuto stabile la sua quota di mercato al 15%, mentre Ericsson ha visto scendere la propria dal 14% al 13%. ZTE segue con una quota dell’11%, e Cisco ha mostrato un modesto incremento, passando dal 5% al 6%.

È rilevante che questa performance dei grandi gruppi cinesi si sia verificata dopo che Usa ed Europa, in un secondo momento, hanno sottoposto Huawei e ZTE ad una serie di restrizioni riguardo alla fornitura di attrezzature per le reti tlc per questioni di sicurezza delle infrastrutture. Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno adottato e poi sollecitato l’adozione da parte dei loro principali partner economici europei il divieto di utilizzo di apparecchiature Huawei e ZTE nelle loro reti telefoniche, per il timore che Pechino potesse utilizzarle per lo spionaggio informatico o per sabotare infrastrutture di comunicazione critiche – accuse che Huawei ha ripetutamente negato. L’esortazione ha prodotto i suoi risultati e, poche settimane fa, la Germania ha deciso di bandire componenti e tecnologie fornite dai gruppi cinesi Huawei e ZTE da tutte le sue reti 5G.

La scelta della Germania

Secondo quanto comunicato dal Governo tedesco, i prodotti delle due aziende non saranno più utilizzati nella “rete centrale” entro “la fine del 2026” e saranno sostituiti nei sistemi 5G di “accesso e trasporto” entro “la fine del 2029”. La decisione, ha spiegato il ministro degli Interni Nancy Faeser, è legata alla necessità di “ridurre i rischi per la sicurezza e, a differenza del passato, evitare le dipendenze unilaterali” da fornitori stranieri. La decisione tedesca è stata criticata dal Governo di Pechino secondo cui “la mossa della Germania costituisce una chiara discriminazione politica che danneggia gravemente la fiducia reciproca tra le due parti e influenzerà anche la futura cooperazione tra Cina ed Europa in campi correlati”. Huawei e ZTE operano “da tempo nel rispetto delle leggi e dei regolamenti in Germania e hanno dato un contributo positivo al processo di digitalizzazione” del Paese, ha sottolineato Pechino che ha annunciato anche l’intenzione di adottare tutte “le misure necessarie per salvaguardare gli interessi legittimi delle aziende cinesi”. Con l’estromissione delle soluzioni Huawei e ZTE dalle infrastrutture tedesche, per ampliare e potenziare i servizi 5G, gli operatori d’oltralpe dovranno necessariamente puntare su fornitori come Nokia ed Ericsson.

Ancora forte la presenza del ‘Made in China’ nelle reti europee

Malgrado i provvedimenti adottati in diversi Paesi la presenza di apparecchiature e installazioni di Huawei e ZTE in Europa è ancora molto diffusa. Secondo i dati della società di consulenza danese Strand Consult aggiornati al 2022, in molti Paesi europei il peso della tecnologia ‘Made in China’ per le reti 5G supera il 50 per cento. In 8 paesi su 31, oltre il 50% delle apparecchiature RAN 5G proviene dalla Cina. Nel 2020, erano 16 (su 31) i paesi in cui le apparecchiature RAN 4G provenivano da venditori cinesi e solo 11 dei 31 paesi europei possono offrire ai propri utenti l’accesso a servizi provenienti da venditori non cinesi. Si osservi, inoltre, che il 41% degli abbonati di telefonia mobile in Europa ha accesso alla rete 5G RAN con tecnologia di fornitori cinesi e che nel 2020, il 57% della RAN 4G tedesca proveniva da fornitori cinesi, mentre nel 2022, il 59% della RAN 5G in Germania proveniva sempre da fornitori cinesi. Giusto per dare un altro dato significativo, Huawei, ad oggi, gode di una quota di mercato maggiore a Berlino che a Pechino, città nella quale condivide il mercato con ZTE e altri fornitori di tecnologia.

L’Europa: un mercato piccolo e in contrazione per le infrastrutture di rete

Il mercato europeo rappresenta una parte piccola e in diminuzione dell’accesso radio globale (RAN) del mercato delle infrastrutture. Nonostante l’Europa riceva molta attenzione politica, la quota europea di mercato delle apparecchiature di rete è di fatto piccolo. In particolare, la quota dell’Europa sul totale mondiale è diminuita considerevolmente a partire dal 2000 e oggi rappresenta solo il 10-15% del totale mondiale con un controvalore stimato in circa 2,9 miliardi di dollari. Huawei e ZTE, insieme, detengono una quota di mercato del 40% nel vecchio continente e questa cifra si traduce in appena il 6% della quota di mercato globale del segmento RAN. Viene però da chiedersi, quali effetti può avere un bando di Huawei dal mercato europeo?

Un bando verso i vendor cinesi avrà un beneficio limitato per gli operatori europei

Secondo uno studio della società di consulenza danese Strand Consult, limitare Huawei in Europa avrà un impatto poco significativo su tutta una serie di tematiche: dalla concorrenza, al prezzo passando per la disponibilità delle apparecchiature di rete. Per quanto riguarda i benefici dei principali concorrenti europei, la società danese stima che il massimo che Ericsson e Nokia possono aspettarsi di condividere sarebbe un aumento della propria quota di ricavi nell’ordine del 3,5% annuo per ciascun operatore. Bisogna poi considerare che altri operatori potrebbero trarre vantaggio dalla ritirata dei vendor cinesi dal mercato europeo, è, appunto, il caso di Samsung il cui inserimento potrebbe incidere sulla distribuzione effettiva dei maggiori ricavi per i vendor occidentali.

Le restrizioni a Huawei non determineranno un aumento dei prezzi

Una delle questioni più dibattute riguardo alle restrizioni applicate a Huawei è il possibile aumento dei prezzi delle apparecchiature. In realtà due casi recenti sembrano escludere questa eventualità. In Australia, il primo Paese ad applicare delle restrizioni ai vendor cinesi, non si è assistito ad un aumento dei prezzi. Lo stesso dicasi anche per gli Usa. Il mercato statunitense ha vissuto un consolidamento nel 2016, quando Nokia ha acquistato Alcatel-Lucent. In quel momento, Ericsson controllava più del 40% del mercato RAN statunitense con la parte rimanente divisa tra Nokia, Alcatel-Lucent e Samsung. Nonostante il passaggio da un mercato con tre grandi fornitori a un mercato con due grandi fornitori ed uno piccolo, i prezzi negli Stati Uniti sono diminuiti anziché saliti.

Forse l’aspetto più interessante del consolidamento avvenuto negli Usa è che gli Stati Uniti hanno guadagnato una posizione di leadership nel 5G anche senza le apparecchiature Huawei. Ericsson e Nokia detengono le maggiori quote di mercato negli Usa, così come Samsung sta guadagnando rapidamente. Il consolidamento negli Stati Uniti ha dato a Samsung opportunità che non avrebbe avuto aveva altrimenti. Considerata l’esperienza degli Stati Uniti e dell’Australia, non vi sono prove che suggeriscano che le restrizioni applicate a Huawei e ZTE aumenterebbero i prezzi o ridurrebbero l’offerta in Europa.

Le restrizioni a Huawei non avranno un impatto sulla concorrenza

Altra questione dibattuta è il possibile impatto che un ban europeo a Huawei potrebbe avere sulla concorrenza. Benché la teoria economica classica suggerisca che la concorrenza è determinata, in buona parte, dal numero di imprese presenti sul mercato, nel caso del segmento delle infrastrutture di rete, è assai improbabile che una limitazione ad un singolo operatore, per quanto di grandi dimensioni, possa avere una influenza sul livello di concorrenza del settore a livello globale. L’Europa, infatti, rappresenta una piccola frazione del totale mercato mondiale delle apparecchiature di rete. Mentre Huawei e ZTE sono grandi fornitori in Europa, il Vecchio Continente rappresenta solo il 15% del mercato globale e di questa parte circa il 40% è controllato dalle aziende cinesi. È probabile, quindi, che, se venisse applicato un divieto nei confronti di Huawei, non sarebbe difficile per altre aziende, tra cui Ericsson, Nokia, Samsung e altri per colmare il divario senza impatti apprezzabili sul livello di concorrenza globale.

I grandi player cinesi guardano al 6G

Mentre cercano di assorbire i colpi dei bandi imposto dalle economie occidentali, le grandi aziende cinesi sono proiettate ad investire sul futuro delle comunicazioni digitali: il 6G. Anche se non ci si aspetta che il nuovo standard sia in grado di essere offerto sul mercato prima del 2030, già è partita la corsa per assicurarsi una posizione dominate nel nuovo segmento tecnologico. La Cina, infatti, considera le telecomunicazioni un elemento centrale per i suoi obiettivi geopolitici e strategici. Numerosi documenti strategici, come il 14° piano quinquennale per l’informatizzazione nazionale, collocano il 6G tra le massime priorità del governo. Obiettivo dichiarato di Pechino è quello di dominare lo sviluppo e l’implementazione dell’infrastruttura 6G, proprio come ha fatto con il 5G, dove le aziende cinesi mantengono il 70% delle stazioni radio base mondiali e l’80% dei dispositivi connessi 5G.

L’approccio della Cina al 6G rispecchia esattamente l’approccio al 5G. Il governo cinese sta sfruttando sussidi, agevolazioni creditizie, agevolazioni fiscali e forme correlate di sostegno statale per aumentare la capacità produttiva nazionale di apparecchiature e consentire alle aziende cinesi di ottenere un vantaggio iniziale sul mercato del 6G. Sta inoltre investendo in modo incisivo nelle tecnologie abilitanti che costituiscono la spina dorsale dell’infrastruttura 6G, come i chip legacy e l’intelligenza artificiale, per ridurre la dipendenza dai fornitori stranieri e garantire un vantaggio competitivo lungo l’intera catena di fornitura 6G. Questa strategia sta dando i suoi risultati concreti. Secondo i più recenti dati a disposizione, la Cina è al primo posto a livello mondiale nelle richieste di brevetti 6G (40,3%) mentre gli Stati Uniti si collocano al secondo posto (35,2%). Nel febbraio di quest’anno China Mobile, il più grande operatore di telecomunicazioni al mondo per numero di abbonati mobili, ha affermato di aver lanciato con successo quello che ritiene essere il primo satellite al mondo a testare l’architettura 6G.

L’Europa al momento sembra, invece, essere più indietro: esistono programmi di finanziamento incardinati nella legislazione europea con lo Smart Networks and Services Joint Undertaking (SNS JU)  il quale prevede uno stanziamento complessivo di 1,8 miliardi tra il 2021 e il 2027. Malgrado la disponibilità di risorse, quello che emerge è un impianto farraginoso, dove le risorse si perdono in una infinità di piccoli rivoli e progetti che rischiano di non assicurare l’obiettivo prioritario: un vantaggio competitivo rispetto agli altri grandi player mondiali quali Cina e Usa. Le grandi aziende europee come Ericsson e Nokia stanno, al momento, focalizzando la loro attenzione sulla ricerca. E’ il caso della divisione che Ericsson ha creato nel Regno Unito dedicata al 6G e alle sue applicazioni: il gruppo svedese, a partire dallo scorso anno, ha iniziato a investire  “decine di milioni di sterline” per aumentare la propria capacità di fare ricerca e sviluppo nelle comunicazioni future e nella standardizzazioni del 6G. Anche Nokia è impegnata nello sviluppo del 6G come capofila del progetto europeo Hexa-X e, all’inizio del 2024, ha annunciato un investimento da 391 milioni di dollari nell’ambito di un progetto finanziato dalla Germania e dalla UE per incrementare la disponibilità di software, hardware e chip 5G e 6G.

Riflessioni finali

Il 5G ora e il 6G nel prossimo futuro rappresentano il campo su cui verrà giocata, nei prossimi anni, una complessa partita non solamente tecnologica ma anche geopolitica. Ne sono consapevoli i Paesi che si stanno confrontando già da qualche anno su questo terreno: la Cina, gli Usa e in misura minore anche l’Europa. Bandi, dazi e restrizioni commerciali sono le armi che finora sono state messe in campo da questi grandi player per acquisire posizioni di vantaggio o per limitare i vantaggi altrui. Il bando dei produttori cinesi dalle architetture 5G è arrivato a seguito delle pressioni Usa e molti Paesi lo hanno adottato in ritardo e in modo poco convinto. Da questo contesto il quadro che emerge sembra restituire, comunque, una preminenza dell’Asia nella competizione tecnologica, con la Cina in testa.

È stato così per il 5G e, ad oggi, sembrano esserci i requisiti perché la stessa dinamica si ripeta anche con il nuovo salto tecnologico rappresentato dal 6G. Accanto alla Cina, peraltro, stanno giocando una partita tutt’altro che di retroguardia anche altri Paesi asiatici come la Corea del Sud e il Giappone che vantano programmi di ricerca e risultati molto avanzati in alcuni campi di applicazione del 6G. L’Europa, dal canto suo, sembra essere ancora una volta in ritardo. Anche per quanto riguarda lo sviluppo del 6G, uno sguardo di insieme restituisce l’idea di una Europa a traino dei grandi flussi di innovazione che arrivano da Oriente, con la Cina, e da Occidente, con gli Usa. Esiste quindi un concreto un rischio di marginalizzazione del vecchio continente e spetta innanzitutto alle istituzioni pubbliche e agli stakeholders privata scongiurare questa possibilità.